Quando i fascisti spacciavano eroina…

Renzo Vespignani,

Renzo Vespignani, “Faschismus”

Come siete arrivato al contrabbando?
«Per le strade della miseria».
Prima ne avete tentate altre?
«No, questa è una giungla».
Avete mai venduto droga?
«No, perché non è capitato ancora. Ma se capita sarà solo questione di prezzo».
Voi avete figli?
«Sei».
Poniamo che io voglia vendere la droga ad uno di loro…
«Saprei cosa dirvi».
Al figlio di una altro però la dareste?
«Certo. Perché se non io, gliela darebbe un altro. Sarebbe la stessa cosa».
Capisco. Soltanto i figli vostri sono sacri.
«I figli miei devono mangiare e stare in buona salute (…) Non è colpa mia se la penso così. Prendetevela con la società».
Non si può attribuire tutto alla società.
«Questa non è una società. Questa è una giungla».

(da “Dialogo con un contrabbandiero” di Luigi Compagnone.
Pubblicato sul n. 6 di La Voce della Campania, 27 Marzo 1977)

Centro nevralgico nel Mediterraneo, il “gran bazar” napoletano, una delle principali capitali della malavita internazionale, aveva visto già nell’immediato dopoguerra svilupparsi quell’asse dei traffici illeciti con Palermo che, a partire dagli anni ‘60, portò Cosa Nostra, dopo la sua ricostituzione, a stringere rapporti d’affari con i clan camorristici della città di Napoli, prima per il contrabbando di sigarette e poi per gli stupefacenti destinati al consumo “continentale”.

Ancora poco conosciuto il suo sviluppo nella storiografia sulle mafie, nei turbolenti anni ‘70 italiani l’interesse mafioso al traffico degli stupefacenti non fu automatico. Occorsero molti anni per creare prima di tutto la domanda di “massa” di droghe pesanti e, contestualmente, il network di narcotraffico internazionale e spaccio al minuto che ha costituito, ad oggi, una delle principali voci economiche delle mafie. Uno dei canali privilegiati per garantire ingenti introiti finanziari da trasferire nel sistema bancario, finanziario ed industriale, legato alle mafie.

Nei verbali della Commissione parlamentare antimafia della XI legislatura, presieduta da Luciano Violante, Tommaso Buscetta, uno dei principali narcotrafficanti legato alla mafia palermitana di Stefano Bontate, all’epoca capo della commissione di Cosa Nostra, riferì (nella dodicesima seduta) che il traffico di stupefacenti in Italia era iniziato solo nel 1978, benché fosse risaputa, sin dalla relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia della VI legislatura, l’attività di narcotraffico della mafia siciliana strutturata da anni da Lucky Luciano in direzione degli gli Stati Uniti (la sola New York, negli anni ’50, necessitava di almeno 100 kg di eroina  al giorno, fornita ai Gambino dai clan palermitani). La crescita del traffico di droga, rispetto al contrabbando, secondo Buscetta, costituì una vera e propria rottura epocale del sistema dei valori della mafia tradizionale, che implicò anche i principi dell’affiliazione, portando alla luce le famiglie più grosse e numerose, quelle che potevano contare su più parenti emigrati all’estero ed in Italia.

In un’intervista del 1991, pubblicata sul quotidiano Il Manifesto, (In “Nunzio Giuliano – Diario di una coscienza”, Tullio Pironti Ed.), Nunzio Giuliano, il primo dei Fratelli Giuliano, dissociatosi dall’omonimo clan in seguito alla morte per overdose, nel 1987, di un suo figlio diciassettenne, tracciando un bilancio della sua esperienza di vita da camorrista nel quartiere popolare di Forcella “costretto, per vivere, ad inventarsi lavori illegali”, descrisse al giornalista Guido Ruotolo l’evoluzione criminale che ha coinvolto i quartieri popolari di Napoli, e la sua famiglia, come un fenomeno prodottosi dopo la scomparsa dei lavori tradizionali, non sostituiti dall’industrializzazione, in quartieri che si trasformarono criminalmente solo quando “alla fine degli anni ‘60, i mafiosi dalla Sicilia arrivarono e introdussero il traffico di droga ed armi”.

Prima che, nella metà degli anni ‘80, i tossicodipendenti da eroina in Italia toccassero le circa 300.000 unità (dati ufficiali), un giro d’affari di centinaia di miliardi di lire annui, lasciando sulla strada, nel corso degli anni, migliaia di morti e decine di migliaia di “disagiati”, per tutti gli anni ‘70 l’eroina (ancora sconosciuta a Roma nel 1970) ha dovuto sconfiggere prima la concorrenza dei barbiturici e dei farmaci psicotropi, come il Revonal, che assunti insieme ad un bicchiere di whisky  avevano accompagnato i primi stati modificati di coscienza delle mode giovanili italiane nate nel periodo 1965/67, poi le resistenze culturali dei vecchi retaggi tradizionali dei malavitosi, soprattutto dei mafiosi e dei camorristi, provenienti da ambienti sociali estranei alla cultura dello “sballo” e preoccupati dell’allarme sociale e politico causato dalla diffusione delle droghe.

Ad anticipare l’allarme sociale sulle droghe, ben prima della presa d’atto delle conseguenze psichiatriche e sanitarie dell’uso di eroina su larga scala, furono infatti delle vere e proprie campagne mediatiche, orchestrate dai giornali del gruppo di Attilio Monti, in particolare dal quotidiano Il Tempo, basate principalmente sulle cronache di episodi di “costume”, i cui fondi erano firmati da Franz D’Asaro, dal 1952 redattore capo e poi direttore del Secolo d’Italia, organo del MSI, le quali riuscirono ad avere l’effetto di influenzare ampi strati dell’opinione pubblica moderata dell’epoca (alimentando ad esempio il falso mito della “Marijuana assassina”), destando allo stesso tempo interesse tra i più giovani anche sulle droghe pesanti e rappresentando un importante punto di svolta nella diffusione della cultura delle droghe e per comprendere lo sviluppo successivo della tossicomania in Italia, sia per quanto riguarda le campagne d’informazione che per quanto riguarda l’evoluzione dei consumi di droga.

Le cronache davano ampio risalto alle massicce retate dell’appena costituito Nucleo Antidroga dei Carabinieri, diretto dal capitano Giancarlo Servolini del SID, che si avvaleva della consulenza del Narcotic Bureau dell’FBI e della collaborazione dell’ambasciata americana a Roma diretta, dal 1969 al 1973, da Graham Martin, un falco molto legato al presidente Nixon, che in seguito diventerà l’ambasciatore americano in Vietnam.

Vale ricordare che il blitz che diede il via alle campagne giornalistiche ed alle retate antidroga degli inizi anni ‘70, famoso come “la retata del barcone” del 21 marzo 1970, effettuata a Roma con 90 arresti, su cui Il Tempo imbastì una feroce campagna di stampa abbondando sulla quantità di siringhe e sugli ingenti quantitativi di droga ed eccitanti sequestrati, titolando in prima pagina “2000 giovani si drogavano sul barcone”, si rivelerà poi, solo alcuni anni dopo, una montatura giornalistica. In realtà i Carabinieri avevano rinvenuto solo mezzo grammo di hashish.

La domanda di “massa” di anfetamine negli anni ‘70 veniva soddisfatta solo in parte attraverso le farmacie, anche se i dati ufficiali del ministero della sanità, nel 1972, quando queste sostanze divennero illegali anche in Italia, due anni dopo il bando della Food and Drugs administration degli USA, parlano di appena 10.000 assuntori “schedati” su base nazionale,  mentre cresceva esponenzialmente il mercato nero delle “pasticche”. La domanda di “droghe” cominciò a spostarsi significativamente verso l’uso della morfina/eroina, nelle grandi città italiane, solo dopo la prima metà degli anni ‘70.

L’anfetamina diffusa in Italia all’inizio degli anni ‘70, proveniente in gran parte dalle scorte dell’esercito USA che ne faceva largo uso tra i soldati per aumentarne la resistenza fisica e “psicologica”, sin dalla guerra di Corea e fino all’intervento in Vietnam, venne poi soppiantata dall’eroina, seguendo una metodica strategia che sarebbe stata pianificata nel programma Blue Moon, la versione narcotica della Operazione Chaos della CIA, elaborato dal generale William Westmoreland, condotta negli USA contro i movimenti studenteschi di contestazione, testando droghe sui cittadini americani ed infiltrando agenti nelle organizzazioni politiche degli studenti come si evince dal report della U.S. President’s Commission on CIA activities within the United States, presieduta da Nelson Rockfeller durante la presidenza Gerald Ford. Vi sarebbe poi stata una seconda operazione mediante l’invio di agenti CIA all’estero, con l’obiettivo ufficiale di valutare e conoscere la sinistra, soprattutto quella dallo “spettro maoista”.

A riprova dell’esistenza del programma Blue Moon, oppure di un interesse della CIA nella diffusione delle sostanze stupefacenti tra i giovani ed i militanti della sinistra extraparlamentare europea ed italiana, vi sono le dichiarazioni rese agli inquirenti da Roberto Cavallaro, un veronese che dopo essere emigrato in Francia dopo il liceo, tornato in Italia, diventò prima un sindacalista della CISL e poi della CISNAL. Cavallaro, dopo aver rotto con l’MSI, fondò poi il gruppo ALFA, una organizzazione di squadristi che negli anni “caldi” condusse diverse “azioni” e pestaggi contro militanti della sinistra alla Cattolica di Milano, entrando in seguito in contatto con il Servizio Informazioni Difesa (SID), partecipando al tentato golpe della “Rosa dei Venti”.

Arrestato ed inquisito dalla magistratura nell’ambito dell’indagine sul fallito golpe, riferì agli organi inquirenti che, nel 1972, mentre si trovava in addestramento in Francia, apprese dell’esistenza di una operazione segreta della CIA in Italia, denominata Blue Moon, con l’obiettivo della diffusione delle sostanze stupefacenti a base di oppiacei tra i giovani delle principali città italiane e per sviluppare disgregazione sociale, con l’obiettivo di diffondere il consumo di droga negli ambienti sociali vicini all’area della contestazione studentesca, fiaccandone le velleità rivoluzionarie ed esaltandone gli istinti individualisti ed anarcoidi, come già era stato sperimentato con successo negli USA. L’operazione Blue Moon “era condotta in Italia dai servizi statunitensi utilizzando uomini e strutture che facevano capo alle rappresentanze ufficiali di quel paese in Italia.”

U carbuni si nun tinci, mascaria”
(proverbio siciliano: “il carbone, se non tinge, sporca”)

Negli anni ‘70 la domanda di droghe proveniva perlopiù dalle fasce sociali giovanili istruite ed influenzate dalle nuove tendenze narrative e musicali dei movimenti nati negli USA e diffusisi anche in Europa, in un mercato ancora aperto, seppure di nicchia, e non ancora controllato interamente dalle mafie. E’ quindi ipotizzabile che, per superare barriere sociali e le resistenze culturali dei “vecchi” malavitosi, nonchè per consentire una rapida diffusione delle “nuove droghe”nelle città del nord, si sia verificata una saldatura tra ambienti della criminalità organizzata e formazioni dell’estrema destra, avviando, o rinsaldando, uno dei più inquietanti connubi tra “agenzie del crimine” della storia repubblicana, le cui conseguenze si sono trascinate fino alla fine degli anni’ 80.

Proprio lo scenario di una saldatura tra ambienti malavitosi e formazioni di estrema destra è quanto stava venendo alla luce, a Milano, in una inchiesta, effettuata con interviste audioregistrate da due militanti del Centro Sociale Leoncavallo, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, tra i tossicodipendenti del Parco Lambro. I due ragazzi furono uccisi il 18 marzo del 1978, mentre l’opinione pubblica era ancora sotto schock per il rapimento dell’on. Aldo Moro, avvenuto un paio di giorni prima. L’agguato in cui persero la vita i due giovani fu rivendicato a Roma dal gruppo neofascista dei NAR – brigata combattente Franco Anselmi, di cui faceva parte Massimo Carminati, componente della Banda della Magliana. I nastri registrati e gli appunti dell’inchiesta, in cui Fausto e Iaio stavano venendo a capo delle implicazioni dei gruppi neofascisti milanesi nel traffico di droga, non furono mai rinvenuti.

Il fenomeno della relazione tra eversione fascista e criminalità organizzata, era venuto fuori due anni prima, a Napoli, da un’altra inchiesta.  Nel 1976, la Voce della Campania, in un approfondimento sul consumo di droghe nella città partenopea, intervistò alcuni componenti di un collettivo dell’Autonomia Operaia, i quali stavano conducendo un’inchiesta sullo spaccio di droga, nel tentativo di imporre il prezzo politico sul consumo di droghe leggere (il cui prezzo, avrebbe dovuto essere, secondo la valutazione dei membri del collettivo, in 1300 lire al grammo), effettuando una mappatura dello spaccio di droghe nella città, individuando tra gli spacciatori alcuni soggetti legati alle organizzazioni dell’estrema destra napoletana.

Dall’inchiesta emergeva che, nel 1976, il consumo di droghe a Napoli era quantificabile nelle percentuali del 60% per il consumo di droghe leggere, nel 5% in “acidi” ed in una percentuale del 30/35% in droghe pesanti. L’eroina aveva un costo molto elevato, circa 100.000/120.000 lire al grammo, e veniva venduta in dosi da 10.000 lire a bustina. Seppure molti spacciatori si riteneva “lavorassero” in proprio, rifornendosi ad Amsterdam, Genova e Roma, gran parte dell’eroina veniva dalla zona di Giugliano, territorio all’epoca dominato dai Nuvoletta, clan affiliato a Cosa Nostra.

Nell’inchiesta era emersa l’esistenza di un coordinamento tra gli spacciatori. Periodicamente, infatti, si verificavano degli embarghi sulle droghe leggere in tutta la città, durante i quali l’eroina veniva venduta a prezzi irrisori.

Le principali zone di spaccio di eroina erano le scuole superiori della città, dal Vomero a Piazza Garibaldi. Il liceo Umberto era la piazza di L. Pezzone, famoso nelle cronache dell’epoca per l’accoltellamento di un giovane militante della sinistra napoletana. L’angolo di via Rossini e vico Acitillo, era la piazza di tale L. Carrano (descritto come amico di un noto neonazista, R. Cattaneo), di G.Parise e G. De Rosa (ex mazziere del MSI), proprietario di un bar dove si spacciava droga. A Piazza Dante stazionavano invece un certo A. Testa, detto “il Rosso”,  A. Miele, detto “il ciuffo” e un certo “Fabio” di Salerno, il quale risultava collegato ad una banda di spacciatori che agiva tra Napoli e Salerno, ed alloggiava a Napoli con R.Cattaneo.

In via Petrarca, nei pressi del bar Il Serpentone, la piazza di spaccio era tenuta ancora da G.De Rosa, dai fratelli Tassieri e da F.Ferretti. In piazza Vanvitelli operava un certo M.Rossi, tutti soggetti ritenuti orbitanti nella galassia neofascista.

Altri luoghi di spaccio erano situati nei pressi di locali, oppure al loro interno, come il Bar Moccia di Via dei Mille, il Privè, un locale notturno di piazza Amedeo frequentato dai figli della Napoli bene, l’Electric di via Fontana ed il Camarillo Brillo della Riviera di Chiaia, in seguito chiusi, il Portobello di via Stanzione, il Bar Cilea ed il Drugstore di via Ribera.

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